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NEW YORK, NEW YORK

(USA/1977) di Martin Scorsese (162')

Soggetto: Earl Mac Rauch. Sceneggiatura: Earl Mac Rauch, Mardik Martin. Fotografia: László Kovács. Montaggio: Tom Rolf, Bertram Lovitt, David Ramirez. Scenografia: Boris Leven. Musica: Fred Ebb, John Kander. Interpreti: Liza Minnelli (Francine Evans), Robert De Niro (Jimmy Doyle), Lionel Stander (Tony Harwell), Barry Primus (Paul Wilson), Mary Kay Place (Bernice), Georgie Auld (Frankie Harte), Clarence Clemons (Cecil Powell), George Memmoli (Nicky). Produzione: Irwin Winkler, Robert Chartoff. Durata: 162’
Versione originale con sottotitoli italiani


New York, New York è il primo film di Scorsese girato completamente in studio. Il regista viene da una scuola di ‘presa diretta’, da una sorta di stilematica documentaristica che qui è del tutto assente. Scorsese sembra dunque avere abbandonato i canoni del giovane cinema per tornare ai vecchi sistemi hollywoodiani. E non solo scenograficamente. La pellicola è costruita tecnicamente secondo la più squisita tradizione hollywoodiana, abbandonando le lunghe sequenze da cinema-verità dei primissimi film come Mean Street. Ancora, nel tessuto della vicenda si inseriscono continuamente scene che rimandano in modo evidente a esempi cinematografici del passato, ai melodrammi di Minnelli, ad esempio, e, per espressa dichiarazione del regista a precedenti autori come Stahl, Leisen, e altri.
Ma l’appassionato potrà ripescarvi allusioni persino ad Astaire (il marinaio che sembra uscito da Seguendo la flotta, 1936, di Mark Sandrich) e a chissà quanti biopics di musicisti come andavano di moda un tempo.
Scorsese non intende costruire una macchinetta per cinéphiles bensì porsi in linea, nei termini a lui congeniali, con quel cinema della nostalgia che da qualche anno teneva banco.
Si è detto spesso che il cinema della nostalgia nascondeva in realtà una nostalgia del cinema, una coscienza della fine di una pratica e di una fruizione cinematografica ormai sepolte dai tempi e dalla tecnica. In questo modo ripercorrere, nei vari sensi in cui ciò è avvenuto (da Bogdanovich a Pollack) il proprio passato identificandolo con quello del mezzo che lo riproponeva (il cinema), diveniva un’operazione metalinguistica giocata su un terreno essenzialmente iperrealistico. L’immagine si proponeva come istituzionalizzazione, come simulacro dietro al quale non c’era altro che se stessa. Scorsese abbraccia questa istanza e sotto la maschera dell’omaggio a questo o a quel film, a questo o a quel regista, ri-gira una biografia d’artisti tribolati, modo, naturalmente, inserendovi, cioè, la sua usuale tematica individualistica intesa come impossibilità di fusione, di comunicazione della coscienza.
(Franco La Polla)


La New York inventata dal cinema anni Quaranta, lucida di pioggia, scintillante di insegne al neon, tra i coni di luce e le volute di fumo dei jazz club. Scorsese trova i giusti colori per le memorie del bianco e nero: un film stilisticamente splendido, e tra i suoi più belli. “Poiché i vecchi set di Hollywood non esistevano più, li feci costruire da Boris Levin, che era stato scenografo in I misteri di Shanghai e West Side Story. Cercai di ispirarmi ai film di Vincente Minnelli per i movimenti di macchina e tentai anche di spingermi più in là”. Il film “è semplicemente la storia di due persone che si amano e che sono entrambe creative”: come dire, la personale declinazione di un’eterna storia americana, da È nata una stella a La La Land.
(Paola Cristalli)

Proiezioni:
Lunedì 2 luglio 2018
Piazza Maggiore
21.45
L'evento è parte di: Sotto le stelle del cinema 2018
Lingua originale con sottotitoli Lingua originale con sottotitoli

Tariffe:

Ingresso libero

Dettagli sul luogo:

Documenti

Cartolina New York New York

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